MXGP. Il sogno di Gajser

Massimo Zanzani
Dopo aver vinto il titolo MX2 l'anno scorso, lo sloveno supera ogni aspettativa, e segna una pagina di storia aggiudicandosi la stagione successiva anche quello MXGP
20 settembre 2016

In testa al campionato dalla settima tappa, sul podio 15 volte su 18, autore del maggior numero di vittorie GP e di manche di qualificazione (7 ognuna), maggiore quantità di secondi posti (6), unico pilota ad aver vinto di seguito prima nella MX2 e poi nella classe regina. Signori, questo è Tim Gajser, il pupillo di Giacomo Gariboldi e Massimo Castelli, che col loro team “famigliare” gli hanno dato mezzi e la tranquillità per raggiungere i vertici del cross Mondiale.


Nessuno si sarebbe aspettato una carriera così rapida, che in soli 4 stagioni e all’età di 20 anni lo ha portato ad aggiudicarsi i due titoli più importanti del fuoristrada a due ruote, dopo quello Europeo 125 conquistato nel 2012 con la KTM Silver Action.

D’altronde, Tim si distingue in tutto. Da una parte i suoi polpacci pronunciati e la sua guida fluida e protesa in avanti ricordano lo Stefan Everts dei tempi d’oro; dall’altra la calma interiore e la sconcertante disponibilità lo fanno apparire un ragazzino alle prime armi. Com'era quando ha fatto le sue prime timide apparizioni nel Mondiale, il neo campione MXGP tale è rimasto. Semplice, umile, rispettoso, quasi sempre col sorriso disegnato suo viso ben proporzionato in cui spiccano due occhi brillanti. A volte stupisce la sua educazione, plasmata da un diploma conseguito a scuola e dagli insegnamenti del padre Bogomir, che da fuori sembra un pazzo furioso coi suoi consigli urlati sul cancello di partenza, che sembrano dover soffocare la concentrazione dl figlio e che invece per Tim sono come fonte di saggezza.

L’anno scorso, per celebrare il suo trionfo in MX2, scrivemmo che TJ aveva sovvertito i pronostici di inizio stagione, che lo davano tra i probabili protagonisti ma non mattatore assoluto: quest’anno ci tocca ripeterci. Perché il suo, è stato un trionfo del tutto inatteso.

 

Tim, il tuo primo titolo ti sarà sembrato un sogno, questo invece?

«La stessa cosa, quando vinci un titolo così è il sogno che  diventa realtà. Specie quando sei al tuo primo anno nella massima categoria, e per d ipiù dopo aver vinto il titolo MX2, è semplicemente fantastico, non capita così spesso….».


Quando ti sei sentito in grado di combattere per il titolo?

«Nelle prime due gare è stato bello essere sul podio, ma era ancora inizio stagione e tutti mi dicevano che stavo andando bene ma che sarebbero potute arrivare anche corse brutte. In realtà non ne ho mai avute di così brutte, o perlomeno non così tanto da perdere molti punti. Poi da Matterley Basin abbiamo cominciato a prendere del gap, e correndo delle gare molto belle sono arrivato ad accumulare ben 110 punti di vantaggio, che è un distacco enorme. A quel punto un pensiero ce l’ho fatto, anche perché significava avere due GP in più rispetto al secondo in classifica, per cui mi sono sentito più fiducioso e rilassato».


Quando invece hai capito che avresti potuto vincere il campionato? Anche se in realtà non lo avevi realizzato neanche a giochi fatti, quando hai tagliato il traguardo di Charlotte….

«E’ vero, dopo la bandiera a scacchi non sapevo quanti punti avevo, per cui quando me l’avete detto voi giornalisti è stata una sensazione incredibile, come vedere tutto il duro lavoro davanti ai tuoi occhi: tu sai i sacrifici che hai fatto nella tua vita e ritrovarti ad essere il migliore nel tuo sport non capita a tutti. Ci sono giusto un paio di noi nel mondo che possono provare questa sensazione, ed essere parte di questo piccolo gruppo di campioni, possiamo dire così, è semplicemente fantastico, perché realizzi che ne è valsa la pena per tutti quei sacrifici. Ma ci devi credere veramente, perché sennò rischi di lavorare duramente per 7/8 anni, e poi magari cominci a mollare perché qualcosa è andato storto. Non è questo che fanno i campioni, quando sei giù, fai delle brutte corse o addirittura hai un brutto anno, come quello che ho avuto io nel 2013, devi davvero essere più forte e anche credere di più in te stesso, e provare a dimostrare alle persone che non credono in te che si sbagliano».


Prima della stagione hai cambiato qualcosa per preparati al passaggio dalla 250 alla 450?

«Certo, soprattutto lo stile di guida, perché la 450 chiede rispetto. E’ così potente e devi essere gentile con lei, e anche molto preciso».
 


Chi è stato il tuo più grande avversario della stagione?

«Romain Febvre: abbiamo davvero combattuto per il titolo, ed è stato molto bello lottare con lui. Ma anche Tony Cairoli e tutti gli altri ragazzi, come Max Nagl. Quest’anno c’erano davvero tantissimi ottimi piloti nella MXGP, non meno di una decina avrebbero potuto vincere le gare e salire sul podio. Mi fa venire in mente che alla fine della scorsa stagione molti si chiedevano perché lasciavo la MX2, dicevano che avevo solo 19 anni e che avrei dovuto fare altri due anni nella 250 prima di fare il salto di classe, mentre io volevo dimostrare che si sbagliavano, che ero un buon pilota anche nella 450, e credo di averlo dimostrato».


Per migliorarti credo tu abbia tenuto d’occhio anche i tuoi avversari: hai pensato a cosa hanno sbagliato Febvre e Cairoli?

«E’ proprio ciò che facciamo continuamente, riguardiamo le gare e cerchiamo di capire gli errori degli altri. Ad iniziare da Tony, anche se è campione del mondo, è leggenda nel nostro sport, ma tutti sbagliano. Anche quando vincevo, una volta tornati a casa riguardavamo la gara, anche la mia, e trovavo degli errori. Anche se sei il migliore, il più veloce, puoi sempre andare più forte, non sei mai perfetto. Così come nella vita: nessuno è perfetto. Penso che spesso i miei avversari non abbiano avuto traiettorie ideali, io molte volte ho scelto linee diverse dalle loro, magari non erano sempre le più veloci, magari erano più lisce, e ti permettevano di risparmiare le energie. Ho parlato molto di questo con mio padre, e i suoi consigli mi hanno aiutato molto. Avere lui al mio fianco penso mi dia un piccolo vantaggio sotto questo aspetto: prima della gara infatti percorre la pista cercando le giuste linee, torna alla partenza e mi dice di provare la linea interna in quel punto, esterna in quell’altro, io ci provo e spesso ha ragione. Penso che questa sia una cosa che pochi piloti hanno, avere qualcuno di esperto dall’esterno che guarda la pista e ti dà buoni consigli sulle linee da seguire».


Cosa c’è dietro al tuo successo?

«Mio padre sicuramente, mio fratello, la famiglia, e da 8 mesi anche la mia nuova ragazza, che mi ha aiutato molto. E sicuramente anche avere un team fantastico dietro di me: hanno lavorato molto duramente nel corso della stagione, abbiamo provato tanto, e abbiamo anche una delle migliori moto della categoria. Penso che tutto questo pacchetto insieme ha fatto di me un ragazzo di successo, che ha corso così bene. Perché sono veramente felice. E questo è molto importante, perché se sei contento ti diverti ancora di più in quello che stai facendo.
 


Il miglior complimento che hai ricevuto dopo il titolo?

«Quello di mio padre, che mi ha detto di essere molto orgoglioso di me. E’ stato bello sentirselo dire da un padre, è fantastico avere un genitore che ti aiuta in tutti i modi, non solo nel motocross, ma anche nella vita. Per questo penso che le sue congratulazioni abbiano significato tanto per me».


Hai imparato qualcosa dalla caduta di Assen che ha rimandato il titolo alla gara dopo?

«Certamente, molto, ho cercato di imparare quanto più potevo. Noi siamo solo uomini e commettiamo errori, ma la cosa più importante è che, dopo aver sbagliato, bisogna pensare a cosa è andato male, e cercare di non ripetere lo stesso errore un’altra volta. Penso che questa sia una cosa molto importante, perché se non si fa così si rischia commettere lo stesso errore più volte. Quindi bisogna ragionarci sopra e provare ad estrapolare il lato positivo, nonostante tu possa essere deluso e arrabbiato perché volevi fare meglio, ma questa è la vita. Niente può andare sempre perfettamente ed essere al massimo. In Olanda effettivamente è stata la prima volta che ho sentito la pressione, non mi sentivo rilassato, ero troppo stanco, tutte cose che sommate insieme mi hanno fatto cadere in quell’errore imperdonabile».


Pensi di dover ancora imparare qualcosa?

«Certo, siamo qui per imparare e abbiamo da imparare finché non moriamo. Anche se sei il campione del mondo, non sei mai perfetto, c’è sempre qualcosa in cui ti puoi perfezionare e andare meglio. E’ così in tutti gli sport, e anche nella vita. Bisogna vederla così: nelle gare puoi sempre andare più veloce, e nella vita puoi sempre essere migliore».


Qual è il tuo piano dopo la gara SMX?

«Non avrò molto tempo per i party, perché correrò a Las Vegas la Monster Cup, e forse qualche altro Supercross in Europa. Cercherò di fare almeno una o due settimane di riposo per ricaricare le batterie, perché poi in novembre ci saranno i test con la nuova moto, e poi sarà già ora di cominciare la preparazione per la nuova stagione».


La stagione 2017 potrebbe essere più delicata, dato che riconfermarsi è più difficile che arrivare al traguardo?

«Difendere il titolo sarà sicuramente impegnativo. Il prossimo anno sarà tosto, la competizione sarà bella serrata grazie anche all’arrivo di qualche outsider dalla 250, ma è come sempre. Lavoreremo sodo e proveremo a migliorarci, durante l’inverno cercheremo di preparare una buona moto, e vedremo di essere pronti per il Qatar».