Il Museo Suzuki di Hamamatsu

Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
La storia di Suzuki nei tre piani del museo di Hamamatsu. La prima puntata del nostro viaggio in Giappone alla scoperta del passato e del futuro di Suzuki
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
14 settembre 2016

Si dice che le nostre decisioni di esseri umani si compiano sulla base della nostra esperienza. E’ quella che il vocabolario definisce come saggezza, se ci pensate: l’accumulo di esperienze che ci permette di avere sempre più elementi per decidere le nostre scelte. Il ragionamento vale per gli esseri umani ma anche per le aziende, che sono sì fatte dall’intelligenza collettiva dei propri dipendenti, ma anche del passato del proprio marchio. Ecco perché, per apprezzare il futuro di una Casa come Suzuki, abbiamo iniziato rinfrescandoci la memoria sul suo passato, su quelle radici che la definiscono qual è oggi.

Siamo protagonisti di un incredibile viaggio in Giappone, ad Hamamatsu, per conoscere meglio Suzuki e le nuove Supersportive – che vi racconteremo fino a portarvi al loro disvelo, ad Intermot – attraverso una visita esclusiva che ci ha permesso di conoscere le radici della supersportiva Suzuki. Dal museo al circuito di Ryuyo, dove nascono e sono nate e cresciute tutte le Suzuki, dalla filosofia di sviluppo della Casa di Hamamatsu fino al passato agonistico e ai programmi per il futuro nonché i luoghi e le persone che l’hanno pensata e creata.

Ma iniziamo dal museo – il Suzuki Plaza, antistante gli stabilimenti – che si snoda su tre piani ripercorrendo tutta la storia della Casa di Hamamatsu. A partire dai telai, non quelli motociclistici, ma quelli tessili, con i quali  Michio Suzuki ha iniziato la storia dell’azienda nell’ormai lontanissimo 1909: il fondatore dell’azienda di Hamamatsu all'età di 21 anni ha creato il suo primo telaio realizzato per la madre. Nel 1911 è arrivato il primo di 120 brevetti (i più importanti dei quali sono simboleggiati dalle medaglie che campeggiano sul petto della statua dedicatagli all’ingresso) depositati da Suzuki: un innovativo sistema che permette alla tessitrice di alzare o abbassare il carrello del telaio.

La GSX-R 750 del 1985
La GSX-R 750 del 1985

La produzione di "due ruote" inizia nel 1952, con i motori per bici Diamond Free che restano in produzione per due anni e vengono già impiegati nelle competizioni, stabilendo diversi record di percorrenza e velocità. Nel 1954 arriva la Colleda CO, la prima moto “vera” di Suzuki, spinta da un monocilindrico a quattro tempi da 90cc. Anche per lei l’impiego agonistico non si fa attendere, ma già appena nata può vantare un primato: è il primo veicolo giapponese ad essere dotato di tachimetro.

La serie delle Colleda continua crescendo nelle cilindrate fino ad arrivare ai 250cc della Colleda TT. La serie Colleda (il cui nome, per inciso, è una sorta di “Eureka!” giapponese, un’espressione che viene usata quando si trova qualcosa di speciale) presenta diversi stilemi che ricorreranno anche successivamente, vedasi la ST-6A sul serbatoio della quale appare per la prima volta la “S” di Suzuki stilizzata, ancora oggi in uso. Ma chi conosce bene le Suzuki potrebbe trovare più di una somiglianza anche fra il faro anteriore della ST-3 del 1957 e quello della Intruder M1800, o della supernaked B-King di qualche anno fa…

Nel frattempo, Suzuki inizia a fare sul serio nelle competizioni. Ad Hamamatsu iniziano a guardare oltre i confini nazionali, e si rendono conto di come sia necessario sviluppare le moto in Europa se si desidera vendere da quelle parti. Detto, fatto, si partecipa al TT strappando alla MZ e alla Germania Est quell'Ernst Degner (e i maligni dicono anche gli schemi tecnici e disegni delle camere di espansione dei motori bicilindrici a dischi rotanti…) che in sella alle MZ aveva ottenuto notevoli risultati in gara. L'apporto di Degner fruttò le tre vittorie consecutive al TT, dal 1962 al 1964 (con lui e Mitsuo Ito) e un titolo iridato nella categoria 50 cc. Da quello spettacolare "cinquantino" da corsa Suzuki creò la T20, una 250 bicilindrica con cambio a sei marce.

Nel 1968 arriva la T500, prima di una serie di bicilindriche a due tempi raffreddate ad aria, più note dalle nostre parti con il nome Titan: una moto che ebbe successo anche a livello sportivo, in quanto facilmente trasformabile, senza spese faraoniche, in una racer piuttosto competitiva e diffusa tra i piloti privati. Suzuki si sta facendo largo fra le grandi Case motociclistiche, ma il colpo grosso arriva con la possente tricilindrica GT 750 del 1971, prima "due tempi" di grossa cilindrata raffreddata a liquido.

Un altro esemplare di GSX 1100S Katana esposto al museo
Un altro esemplare di GSX 1100S Katana esposto al museo

Il museo prosegue avvicinandosi ai giorni nostri con la RE5 del 1974 disegnata dal nostro Giugiaro – e spinta, unica nel panorama motociclistico, da un propulsore Wankel – e con la nuova famiglia delle "quattro tempi" - GS750 quadricilindrica e GS400 bicilindrica - due anni dopo. Seguiranno le GS1000 quadricilindriche, per poi passare agli anni 80: il momento della svolta, con le GSX 750 e 1100 a 16 valvole, e con le immortali, avveniristiche gemelle GSX750 e 1100S Katana, disegnate dal tedesco Hans Muth e arrivata nel 1981; ma soprattutto con la prima, leggendaria GSX-R 750 del 1985, potentissima e leggera, capostipite della stirpe di sportive più longeva della storia del motociclismo.

Ma ci sono anche le RG Gamma a due tempi, la prima 250 - bicilindrica semicarenata - e la 400 a quattro cilindri per il mercato interno – curiosamente manca la gemella  500, forse la più fedele replica-GP mai realizzata – e la prima, devastante GSX-R1100. Ci sono la enduro DR 650, le prime cross RM, e poi la storia recente con la GSX1300R Hayabusa, il primo Burgman e tanti concept e modelli mai visti dalle nostre parti.

E ampio spazio è dedicato anche alle moto da corsa: già all’ingresso, al piano terra, c’è da restare a bocca aperta. C’è la RGV Gamma iridata con Schwantz del 1993, a fianco della campionessa del mondo 2000 di Kenny Roberts jr. e all’ultima GSV-R portata in gara da Alvaro Bautista. E poi si va ancora più indietro, con le RGB di Franco Uncini e quelle dei team Gallina ed Heron – curiosamente appartenute a Graziano Rossi e a Pat Hennen, per qualche ignoto motivo presenti al posto di quelle iridate con Sheene e Lucchinelli – e con le GS1000R del team Yoshimura di Crosby e Cooley, per tornare al presente con le GSX-R 1000 della 8 ore di Suzuka e del Mondiale Endurance.

La RGV in livrea Pepsi protagonista della vittoria a Suzuka nel 1988
La RGV in livrea Pepsi protagonista della vittoria a Suzuka nel 1988

L’era Schwantz però è la più rappresentata: c’è la storica RGV Gamma del 1988 con cui Kevin vinse la sua prima gara in 500 a Suzuka, splendida nella sua livrea Pepsi, e c’è quella con livrea Lucky Strike che accompagnò il texano nella sua ultima vittoria al Gran Premio di Gran Bretagna del 1994, l’anno prima del ritiro. Ma non mancano nemmeno le imprese nei rally di Suzuki, con la DR Big ufficiale portata in gara da Watanabe ed assistita dal team Rahier, né la prima GSX-R 750R del 1986, capace di conquistare all’esordio il titolo All-Japan nella categoria F1, l’antesignana di quella che, due anni dopo, sarebbe diventata l'attuale Superbike.

Il Suzuki Plaza è sicuramente… un po’ fuori mano, e proprio per questo ci fa piacere farvelo vivere attraverso le nostre fotografie. Un po’ per farvi conoscere o ricordare le meraviglie che Suzuki ha saputo creare nel suo glorioso passato, e un po’ per farvi capire su che tipo di esperienze può contare quando deve pensare le sue prossime moto. La prossima settimana proseguiremo in questo percorso presentandovi la struttura di test – il circuito di Ryuyo – su cui Suzuki da oltre sessant’anni sviluppa tutte le sue moto.

 

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