JT Racing, rinasce un marchio leggendario

JT Racing, rinasce un marchio leggendario
Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
La casa di abbigliamento più cool degli anni 80 nel cross USA torna a nuova vita
  • Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
28 ottobre 2015

La scorsa settimana alla AIMExpo di Orlando ho incontrato il mio vecchio amico Darryl Atkins, ex pilota neozelandese di altissimo livello, la cui carriera a metà anni 90 è stata interrotta da un terribile incidente in macchina che gli è quasi costato un braccio. Nonostante Darryl non sia più riuscito a tornare completamente nel giro dei piloti più veloci del Mondiale, ha continuato a correre in diverse categorie e discipline, chiudendo la carriera su una Aprilia Factory nella AMA Supermoto americana.

La sua storia meriterebbe un articolo a se stante, e più ci penso più credo che in effetti sia la cosa giusta da fare, a breve. Ma oggi parliamo di JT Racing, un marchio che proprio da Darryl ed un gruppo di investitori è stato rivitalizzato e che dopo 6 anni di ritorno sul mercato ha iniziato a riconquistare importanti spazi nel panorama off-road mondiale. Ho incontrato Darryl nella sede di Irvine, CA, dove ci sono il quartier generale della JT, l’ufficio stile, la showroom e il magazzino.

Ma prima ancora di parlare con Darryl voglio spendere due righe su JT e su cosa il marchio rappresenti per non vecchietti: JT è stato un vero e proprio mito del motocross americano e dalla fine degli Anni ’70 fino alla metà degli Anni ’90 è stato non uno dei marchi ma “il” marchio dell’abbigliamento e delle protezioni per il motocross. Sono stati i primi ad inventare la mentoniera da agganciare al casco con gli automatici, e anche i primi a sviluppare una pettorina integrale rigida (le mitiche V-1000 e V-2000). E che dire dei caschi ALS-1 ed ALS-2? O dei completi Bones e Dalmatian? Tutti i grandi campioni dell’epoca, prima o poi, sono passati da JT,se non per l’abbigliamento almeno per gli accessori: Danny La Porte, David Bailey, Ron Lechien, Johnny O’Mara, Jean Michel Bayle e persino Ricky Johnson dopo aver abbandonato la Fox.

A proposito, secondo quanto mi ha detto Darryl, in origine Fox era uno dei distributori JT e solo quando la Casa di Chula Vista (lo so, lo so…) decise di vendere direttamente ai negozi a fine Anni ’70 la Fox prese l’iniziativa e creò una linea a proprio marchio. Si può quindi dire che senza JT la Fox non sarebbe mai esistita.

Un momento della nostra intervista
Un momento della nostra intervista

Anche la storia di come JT sia uscita dalle moto è interessante. A metà Anni ’90 John e Rita Gregory, proprietari originali, erano in cerca di altri mercati dopo essere sbarcati con enorme successo in quello del BMX e soprattutto della mountain bike. Un giorno un impiegato si presentò in magazzino con una pettorina, occhiali, maschera e guanti tutti imbrattati di vernice. Disse che usava il materiale JT durante le sue partite di Paintball, uno sport emergente, e a John si accese una lampadina. In meno di un anno fu messa assieme una linea completa dedicata al Paintball ma non solo: John riuscì ad accaparrarsi in esclusiva il cliente più grande sul mercato, ovvero la catena Walmart. Fu allora che il suo concorrente principale, non disposto a perdere l’intero mercato, si fece avanti per comprare la JT. John e Rita Gregory accettarono (ai tempi si parlò di qualcosa come 10 milioni di dollari) e andarono felicemente in pensione, mettendo di fatto la parola fine alla presenza JT nel settore delle moto.

Il tutto fino a 7 anni fa quando i diritti di utilizzo del marchio al di fuori del Paintball vennero riacquistati e dopo un anno di lavoro fervente fu presentata la gamma del “grande rientro”.

«Il primo anno ci insegnò una lezione importantissima» spiega Darryl. «Il rientro fu accolto con enorme entusiasmo, ma all’incredibile numero di ordini da parte dei dealer non corrispose un altrettanto entusiasmante “sell out”, ovvero i clienti finali non comprarono come ci si aspettava. Il problema era generazionale: i titolari dei negozi erano nella fascia di età che ancora aveva visto i Bailey e Lechien correre negli anni 80 e in modo genuino aveva accolto il ritorno di JT. Ma aver puntato tutto su una alta gamma in stile “vintage” fu un errore, perché il mercato vero, quello formato da piloti ed appassionati era molto più giovane: il 99% nemmeno avevano mai sentito parlare di JT prima. Il risultato fu che molta roba restò invenduta sugli scaffali e molti negozianti rimasero un po’ scottati e diffidenti».

Incredibile. La tradizione di un marchio, quello che dovrebbe essere il principale argomento di vendita, diventa una palla al piede.

«Si, assurdo ma vero. Ci abbiamo messo diversi anni a venirne fuori e per farlo abbiamo puntato tutto sul prodotto: dal 2016 la gamma reintrodurrà nuovamente un casco - che avevamo abbandonato - e lanceremo anche gli stivali, alcune borse tecniche e le protezioni per le ginocchia. E nel 2017 usciremo anche con una gamma completa per Mountain Bike e Downhill».

Al di la di Mike Alessi avete qualche altro pilota di spicco che vi fa da portavoce?

«No, a meno che si presenti l’occasione perfetta non siamo alla ricerca di nessuno. Dopotutto non avrebbe senso buttare cifre tra i 300 e gli 800 mila dollari per ingaggiare un pilota che non arrivi nei primi cinque. E senza quel tipo di prestazioni è praticamente impossibile farsi notare. Quel denaro preferiamo reinvestirlo nei clienti, attraverso prodotti sempre più curati e performanti, che sviluppo personalmente».

Quindi hai ancora tempo e voglia di andare in moto!

«Altroché… vado a girare in moto spesso e vado in MTB ancora più spesso. Sono io il pilota in tutte le foto d’azione nei cataloghi JT… anche perché in quel modo posso vestire con i nostri prodotti da capo a piedi senza nessun tipo di conflitto con altri sponsor».

Quali sono i punti salienti che distinguono JT da tutti gli altri? Dove è più visibile la cura extra che mettete nei vostri prodotti?

«I pantaloni, ad esempio: abbiamo triple cuciture ovunque, anche dove in teoria non servirebbe. Poi usiamo una Cordura più spessa della concorrenza ed integriamo le protezioni nei fianchi. Sai. quei pannelli di espanso che di solito sono attaccati con il velcro all’interno dei pantaloni e che tutti buttano via? Noi abbiamo sviluppato un materiale che integra la protezione e lo usiamo sui fianchi dei nostri pantaloni. All’interno delle ginocchia usiamo ancora vera pelle e la rinforziamo con uno strato inferiore di Kevlar. In vita abbiamo un sistema di chiusura micrometrica e via dicendo».

«Per il palmo dei guanti abbiamo introdotto quest’anno un materiale sintetico giapponese che si chiama Nanofront e che sembra pelle ma non si deforma quando diventa umido. Il nuovo casco è invece stato sviluppato in collaborazione un produttore giapponese che ha lavorato per diversi anni con Shoei e che ci ha permesso di uscire con un prodotto molto leggero ma allo stesso tempo all’avanguardia come protezione».

Rivedremo mai una linea vintage?

«E’ bello avere una tradizione ma credo sia importante guardare avanti e operare sul mercato per quello che è: giovane e dinamico e non vecchio e nostalgico. Le nostre grafiche non includeranno mai teschi e croci, ma allo stesso tempo cercheremo di essere attuali: avremo sempre una linea di primo prezzo giovane un po’ più appariscente, una linea intermedia più sobria e una linea top gamma dedicata a chi chiede il massimo».