Le Kawasaki 600 e 1000 di serie e vincenti in pista

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Grandi vittorie, nel terzo millennio, per le Kawasaki a quattro cilindri in linea 600 e le 1000 (Terza parte)
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
21 agosto 2021

Attorno alla metà degli anni Ottanta, sulla scia della GPz 900R la Kawasaki ha messo in produzione alcuni quadricilindrici di diverse cilindrate con distribuzione bialbero a quattro valvole e raffreddamento ad acqua.

In particolare con la GPz 600 R, commercializzata a partire dal 1985, ha fatto il suo ingresso in una nuova classe di cilindrata, destinata ad avere un grande successo negli anni successivi. Il modello era interessante ma non ha avuto il successo che ci si attendeva anche per via delle prestazioni non proprio esaltanti (75 CV a 10500 giri/min), inferiore a quello della rivale appena entrata in scena, la Honda CBR 600F.

Tre anni dopo questa moto è stata sostituita dalla ben più brillante e appetibile GPX 600 R, completamente riveduta a livello estetico e dotata dello stesso motore (che aveva un alesaggio di 60 mm e una corsa di 52,4 mm), ma con potenza portata a 85 cavalli.
Tra le caratteristiche tecniche spiccavano la trasmissione primaria mista (con una catena Morse che prendeva il moto dall’albero a gomiti), le canne dei cilindri riportate in umido e i bilancieri a dito “sdoppiati”. I due alberi a camme erano comandati da una catena collocata centralmente.

La GPz 600R del 1985
La GPz 600R del 1985

Un nuovo motore è arrivato con la ZZ-R 600 (nota anche come ZX-6) entrata in produzione nel 1990. Le misure caratteristiche sono passate a 64 x 46,6 mm, le punterie a bicchiere hanno sostituito i bilancieri a dito e la potenza è aumentata a 100 CV a 11500 giri/min. La primaria è diventata a ingranaggi.

Una svolta fondamentale si è avuta con la ZX-6 R, commercializzata a partire dal 1995, e dotata di un motore completamente nuovo, con un alesaggio di 66 mm e una corsa di 43,8 mm, nel quale spiccava tra l’altro la disposizione laterale della catena di distribuzione.
Le canne dei cilindri erano riportate a secco e l’angolo tra le valvole, sempre mosse da punterie a bicchiere, era di 25° (nel motore precedente era di 30°). La potenza era di 109 CV a 12500 giri/min.

Questo motore ha subito solo miglioramenti di dettaglio fino a subire una completa rivisitazione nel 2003, quando è entrata in produzione la ZX-6 RR con misure caratteristiche portate a 67 x 42,5 mm e una potenza di 117 CV a 13000.

Il resto è storia recente e ben nota, con sviluppi successivi che hanno portato a un aumento della velocità di rotazione e della potenza. Nel 2010 questa moto è arrivata a erogare ben 128 CV a 14000 giri/min. Dopo aver conquistato il suo primo mondiale Supersport nel 2001 la Kawasaki 600 ne ha vinti altri tre tra il 2012 e il 2016 con il turco Sofoglu, grande specialista di questa classe.

Tra il 1985 e il 2010 le 600 quadricilindriche di Akashi hanno visto il loro rapporto corsa/alesaggio passare da 0,87 a 0,63 e il regime di rotazione aumentare da 10500 a 14000 giri/min. La potenza specifica è cresciuta da 125 a 205 CV/litro e anche la pressione media effettiva ha avuto un cospicuo incremento, passando da 10,5 a 13,4 bar.

Kawasaki ZZR 600 del 1990
Kawasaki ZZR 600 del 1990

Negli anni Ottanta la Kawasaki aveva realizzato due moto di 1000 cm3 (la GPZ 1000 RX del 1985 e la ZX-10 del 1988) ma in effetti aveva puntato maggiormente sulle 750 e sulle 600. Pure la ZZR-1100 e la ZX-9 R degli anni Novanta non hanno avuto il successo commerciale arriso alle loro cugine di cilindrata minore.
In seguito però il regolamento della Superbike è cambiato e la classe 1000 è diventata quella di maggiore interesse, prendendo praticamente il posto della 750.

La ZX-10 R è una moto che si è rivelata validissima fin dall’inizio e che è stata oggetto di un intenso lavoro di sviluppo, come del resto dimostrano in sette mondiali Superbike vinti finora (e l’ottavo sembra in arrivo). Al titolo del 2013 hanno infatti fatto seguito i sei consecutivi conquistati con Rea alla guida dal 2015 al 2020.

Questa quadricilindrica di 1000 cm3 è apparsa nel 2004 con un alesaggio di 76 mm e una corsa di 55 mm, misure mantenute fino ad oggi.
Lo schema costruttivo è rimasto invariato negli anni successivi e merita di essere descritto con un minimo di dettaglio. Nel motore la bancata dei cilindri, dotata di una struttura closed deck, era ricavata nella stessa fusione del basamento; le canne integrali erano dotate un riporto superficiale al nichel più particelle dure (carburo di silicio). La parete che separava quelle contigue aveva uno spessore di soli 6 mm.

Le valvole giacevano su due piani inclinati tra loro di 25°; quelle di aspirazione erano da 31 mm e quelle di scarico da 25,5 mm. Gli spinotti avevano un diametro di 17 mm e i pistoni forgiati una altezza pari a 0,56 volte il diametro. La lunghezza delle bielle era di 106 mm, assai vicina quindi al doppio della corsa.

Nel 2004 la potenza veniva indicata in 175 CV a 11700 giri/min. Quattro anni dopo è salita a 188 a 12500 giri/min.

La versione 2004 della ZX-6RR
La versione 2004 della ZX-6RR

Tra i miglioramenti che hanno via via interessato questo motore vi sono quelli che hanno riguardato il rapporto di compressione, mano a mano aumentato, e il profilo delle camme.

Per l’annata 2016 il quadricilindrico Kawasaki ha subito una accurata rivisitazione che ha tra l’altro portato a pistoni di nuovo disegno (con il rapporto altezza/diametro sceso a 0,49) e alla adozione di ingranaggi della trasmissione dello spessore di soli 11,7 mm.
La potenza è arrivata a 200 cavalli a 13000 giri/min e il rapporto di compressione è salito a 13. Nel 2019 le punterie a bicchiere sono state sostituite da bilancieri a dito.
Nella ZX-10 RR la potenza è salita a 204 CV a 13500 giri/min.

ZX-10R del 2016
ZX-10R del 2016

Dal 2004 a oggi dunque il regime di rotazione è aumentato del 15%, la velocità media del pistone è passata da 21,45 a 24,75 metri al secondo.
L’incremento della potenza massima è stato del 16% mentre la pressione media effettiva è sempre rimasta su valori nettamente superiori a 13 bar.
A stupire in modo particolare è la potenza specifica areale, affidabile indice del livello di esasperazione termica e meccanica del motore. In questo caso è arrivata addirittura a superare 1,10 cavalli per centimetro quadrato di superficie dei pistoni, un valore elevatissimo, assai prossimo a quelli che venivano raggiunti nei motori di Formula Uno aspirati dei primi anni Duemila.