Le sospensioni posteriori. (Quarta parte)

Le sospensioni posteriori. (Quarta parte)
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Prosegue la nostra analisi sulle sospensioni posteriori: dalle soluzioni monobraccio ai bracci oscillanti articolati usati anche in gara
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
17 maggio 2018

Da alcuni decenni a questa parte hanno una notevole diffusione le sospensioni posteriori nelle quali al posto di un forcellone vi è un singolo braccio oscillante, di notevole sezione.
Quando si adotta questa soluzione la catena è collocata come ovvio dal lato del braccio; la ruota è montata a sbalzo e il suo mozzo si riduce a una semplice flangia di fissaggio, priva di cuscinetti. Si adotta cioè una soluzione di tipo automobilistico. Alla estremità posteriore del braccio oscillante vi è un portamozzo, che di norma è del tipo eccentrico, cosa che consente di regolare agevolmente la tensione della catena.
All’interno di questo componente di forma cilindrica sono alloggiati i cuscinetti. La ruota viene fissata ad esso per mezzo di alcune viti (o di un grosso dado centrale). A sua volta il portamozzo è saldamente vincolato al braccio oscillante, generalmente tramite un sistema a morsetto.

 

Sulla tedesca Imme R100 erano montate a sbalzo non solo le due ruote, ma anche la biella sull’albero a gomito

Già in passato c’è stato chi ha utilizzato una sospensione posteriore a singolo braccio oscillante, per moto di tipo utilitario, con motore di modesta potenza. Ricordiamo la tedesca Imme R100, nella quale erano montate a sbalzo non solo le due ruote, ma anche la biella sull’albero a gomito.
Questa simpatica monocilindrica a due tempi con motore dotato di una caratteristica architettura a uovo è rimasta in produzione solo dal 1948 al 1951. Una diffusione di gran lunga maggiore ha avuto il Galletto della Moto Guzzi, una sorta di spartano ma razionale scooter a ruote alte con motore monocilindrico a quattro tempi che è stato costruito dal 1950 al 1966.
Anche in questo caso la biella era montata a sbalzo sull’albero a gomito; la ruota anteriore però era vincolata a una forcella a levette oscillanti. Come nella Imme, le ruote erano intercambiabili.

Nel 1980 la BMW ha adottato la sospensione posteriore a braccio oscillante singolo, denominata Monolever, sulla R 80 G/S (qui la successiva versione Paris-Dakar), che ha aperto l’era delle enduro di grossa cilindrata
Nel 1980 la BMW ha adottato la sospensione posteriore a braccio oscillante singolo, denominata Monolever, sulla R 80 G/S (qui la successiva versione Paris-Dakar), che ha aperto l’era delle enduro di grossa cilindrata

 

A lanciare con decisione la sospensione posteriore a singolo braccio oscillante è stata la BMW con la sua R 80 G/S apparsa nel 1980. In questo caso la soluzione (denominata Monolever) veniva adottata per consentire una agevole e rapida rimozione e installazione della ruota motrice anche in condizioni difficili, come quelle che si incontrano quando il mezzo viene adibito ad impiego fuoristradistico (come quello che si ha nei lunghi raid africani).
In effetti la soluzione a singolo braccio oscillante con ruota montata a sbalzo si sposa ottimamente con la trasmissione finale ad albero; uno dei bracci del forcellone deve avere comunque una rilevante sezione, dato che al suo interno passa l’albero stesso e quindi si può parlare di una logica evoluzione. Alla estremità del braccio è fissata la scatola della coppia conica, al cui manicotto di uscita viene vincolata la ruota.

 

Nel corso degli anni Ottanta si sono avuti alcuni importanti esempi di sospensioni a singolo braccio oscillante, su moto da competizione. La Honda è stata particolarmente attiva, in particolare per le moto destinate a prendere parte anche a gare di endurance (nelle quali è vantaggioso poter sostituire le ruote con la massima rapidità). Basta ricordare qui la mitica RC 30.
Per assistere alla decisa affermazione di questa soluzione anche sulle moto stradali è stato però necessario attendere gli anni Novanta, quando essa è stata adottata sulla Honda VFR 750 F e, subito dopo, sulla Ducati 916, capostipite di una serie di modelli di grande successo. Da allora in poi è stato un crescendo, che ha portato anche altre case (tra le quali spicca la Triumph) ad impiegarla su numerose moto della loro gamma.

Sulla splendida Honda RC 30, apparsa nel 1987, spiccava il braccio oscillante posteriore, che dal 1990 è stato impiegato anche sulle VFR destinate a normale impiego stradale. Nelle gare di endurance la possibilità di sostituire le ruote con rapidità costituisce un grande vantaggio
Sulla splendida Honda RC 30, apparsa nel 1987, spiccava il braccio oscillante posteriore, che dal 1990 è stato impiegato anche sulle VFR destinate a normale impiego stradale. Nelle gare di endurance la possibilità di sostituire le ruote con rapidità costituisce un grande vantaggio

 

Oggi il braccio oscillante singolo costituisce una importante alternativa al classico forcellone. I suoi punti di forza sono costituiti dalla grande facilità di sostituzione della ruota e dall’ampio spazio per gli scarichi che essa rende disponibile. L’eccellente funzionalità è dimostrata anche dal gran numero di mondiali Superbike vinti da moto dotate di questo tipo di sospensione posteriore.
Quando si impiega un forcellone a due bracci, la ruota motrice gira su di un asse supportato a entrambe le estremità. Se invece la ruota è montata a sbalzo si creano importanti sollecitazioni a torsione che rendono necessario dotare il braccio oscillante di una sezione assai cospicua e di pareti di generoso spessore.

 

La BMW è rimasta fedele alla sospensione posteriore con singolo braccio oscillante per molti modelli della sua gamma (tra i quali praticamente tutti i bicilindrici boxer costruiti dopo la comparsa della R 80 G/S). Uno sviluppo importante è arrivato con la sospensione Paralever (apparsa nel 1987), nella quale il braccio stesso è “articolato”.
La parte posteriore (con la scatola della coppia conica ad esso fissata, ma collegata al telaio per mezzo di una apposita asta di ancoraggio) è vincolata a quella anteriore per mezzo di uno snodo.
In questo modo si eliminano le variazioni di assetto che si hanno in accelerazione con un braccio o un forcellone rigido, allorché la parte posteriore della moto tende a sollevarsi perché il pignone della coppia conica letteralmente “si arrampica” sulla corona (in fase di rilascio avviene logicamente il contrario). In pratica la scatola della coppia conica è fulcrata nella parte posteriore del braccio oscillante, così come quest’ultimo è fulcrato nella parte posteriore della scatola del cambio (o nel telaio). Pure la Moto Guzzi ha sviluppato una soluzione analoga.