Moto a benzina o a miscela? Scegliete liberamente

Moto a benzina o a miscela? Scegliete liberamente
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
In passato alcune moto sono state prodotte in versioni a due e a quattro tempi: cambiava solo il motore in una sorta di “piattaforma” primordiale
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
28 maggio 2018

In passato qualche costruttore ha pensato di ampliare la sua gamma in una maniera che oggi apparirebbe davvero improponibile. Nella stessa classe di cilindrata non ha infatti proposto moto differenti come struttura ed estetica, ma ha realizzato dei modelli di caratteristiche assolutamente analoghe in versioni sia a due che a quattro tempi!

Erano gli anni del dopoguerra, nei quali anche poche lire di differenza nel prezzo di acquisto e/o in quello di manutenzione significavano molto. E poi c’erano i gusti personali.
All’epoca il motociclismo era uno sport estremamente popolare, e il tifo per le diverseCase aveva toni forti, con rivalità accese e sfottò degni degli stadi di calcio. Pure il fatto tecnico aveva la sua importanza, e gli appassionati si dividevano (anche) tra duetempisti e quattrotempisti.

 

I motori a 2T venivano considerati, tranne poche eccezioni come la Rumi in Italia e la Adler in Germania, più adatti a modelli spartani, economici e di prestazioni relativamente modeste

Negli anni Cinquanta i modelli a due tempi costavano meno, ma generalmente avevano anche una potenza inferiore rispetto a quelli a quattro tempi di eguale cilindrata.
L’era degli scarichi a camera di espansione non era ancora iniziata, e quella delle valvole a lamelle sarebbe cominciata solo in un futuro assai distante.
Dei miscelatori separati, con pompa dosatrice, all’epoca neanche si parlava. Si faceva la miscela al distributore, con benzina normale e un olio qualunque, impiegato in percentuali spesso assai elevate (niente super e niente lubrificanti dedicati, per i due tempi!).
I risultati erano una fumosità di scarico impressionante e una frequente necessità di effettuare la disincrostazione delle pareti della camera di combustione, del cielo del pistone e del sistema di scarico.
E le candele si imbrattavano con relativa frequenza, complici anche sistemi di accensione rudimentali in confronto a quelli odierni.
In rapporto alle prestazioni, il consumo era nettamente più alto di quello dei modelli a quattro tempi. Questi ultimi richiedevano periodici controlli del gioco delle valvole e una sostituzione dell’olio relativamente frequente, ma potevano fornire prestazioni più elevate, erano più “puliti” e venivano in genere ritenuti di un livello complessivamente superiore. Insomma, i 2T venivano considerati, tranne poche eccezioni (come la Rumi in Italia e la Adler in Germania), più adatti a modelli spartani, economici e di prestazioni relativamente modeste.

 

Alcune Case sono state sempre fedeli ai motori a due tempi, come la DKW, mentre altre hanno costruito solo modelli a quattro tempi, come la BMW.
La maggior parte dei costruttori però ha prodotto, nel corso della sua storia, moto con entrambi i tipi di motore. Alcuni, nei variegati anni Cinquanta, hanno realizzato dei modelli a due e a quattro tempi di analoga cilindrata, ma differenti a livello di disegno, in quanto frutto di progettazioni ben diverse. Classico può essere l’esempio della NSU. La sua Fox era disponibile con un motore ad aste e bilancieri di 98 cm3 oppure con uno a due tempi di 125 cm3. La potenza era analoga nei due casi.

Ben diversi tra loro come disegno erano anche i ciclomotori della Demm, che non erano azionati da due versioni (rispettivamente a due e a quattro tempi) di uno stesso motore. I progetti erano infatti diversi. Assai più simili uno all’altro erano i motori dei “cinquantini” Parilla. Naturalmente, per ragioni di razionalità e per contenere i costi di produzione si cercava in ogni caso di impiegare, ove possibile, gli stessi organi interni (tipicamente ciò avveniva a livello di frizione, cambio e trasmissione primaria).
Alcune moto sono state prodotte in versioni a due e a quattro tempi impiegando motori aventi struttura e disegno praticamente eguali. In qualche caso sembrava addirittura che su di un medesimo basamento fossero semplicemente installati una testa e un cilindro diversi.

Nel 1956 la Benelli ha affiancato al suo eccellente Leoncino, che era dotato di un monocilindrico a due tempi, un modello assolutamente analogo e di eguale cilindrata (125 cm3), ma azionato da un motore a quattro tempi che poteva addirittura essere considerato una “variante” derivata da quello a due.
Il basamento esteriormente era identico, mentre il gruppo termico era completamente nuovo. Spiccava la distribuzione monoalbero, comandata da una cascata di ingranaggi alloggiata in una cartella ben visibile sul lato destro. La lubrificazione era a carter secco, il che consentiva di impiegare le stesse fusioni (con lavorazioni leggermente diverse) per i due semicarter che formavano il basamento.

 

Il Motobi Imperiale era azionato da un monocilindrico a quattro tempi di architettura complessivamente analoga a quella del 2T dell’Ardizio. Il basamento era però ben diverso (si noti la profonda coppa dell’olio), per non parlare della testa, nella quale erano alloggiati i bilancieri e le due valvole
Il Motobi Imperiale era azionato da un monocilindrico a quattro tempi di architettura complessivamente analoga a quella del 2T dell’Ardizio. Il basamento era però ben diverso (si noti la profonda coppa dell’olio), per non parlare della testa, nella quale erano alloggiati i bilancieri e le due valvole

Attorno alla metà degli anni Cinquanta la Motobi ha iniziato a produrre i suoi monocilindrici con architettura “a uovo”, presentando a pochi mesi di distanza uno dall’altro due 125 che fondamentalmente differivano tra loro per il fatto di avere il motore rispettivamente a due e a quattro tempi. Si trattava dell’Ardizio, più economico, e dell’Imperiale.
Quest’ultimo ha continuato ad essere costruito fino ai primi anni Settanta, in versioni via via migliorate e con diversa denominazione. Questo modello, con distribuzione ad aste e bilancieri, aveva ottime prestazioni ed è stato realizzato anche in versioni da competizione di notevole successo, destinate ai piloti juniores e alle gare in salita.

Sul finire degli anni Cinquanta alcuni costruttori hanno prodotto delle moto “carrozzate”, che però non hanno incontrato i favori del pubblico e sono state vendute in numeri limitati. La Motom ha proposto la bellissima 98 e la Aermacchi l’avveniristica Chimera. Dal canto suo la Parilla alla fine del 1957 ha presentato la Slughi, con motore a quattro tempi di 99 cm3 a cilindro orizzontale, che circa un anno dopo è stata seguita dalla versione con motore a due tempi di 114 cm3, di identica architettura complessiva.
Come nel caso dei monocilindrici Motobi, il basamento, simile nell’apparenza, era in effetti costituito da una fusione differente; spiccavano la presenza della coppa dell’olio e, all’interno, la camera di manovella non chiusa (cosa indispensabile nei 2T), ma in diretto collegamento con l’alloggiamento del cambio. La parte ciclistica e l’estetica delle due moto erano assolutamente eguali.
Nel 1960 è stata presentata la Olimpia, una “nuda” che in effetti era semplicemente la Slughi privata della carrozzeria; essa pure veniva offerta in versioni, a due e a quattro tempi.

 

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