Motori: Semplici è meglio!

Motori: Semplici è meglio!
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
In genere la razionalità porta a una diminuzione del numero dei componenti. Vediamo come sono cambiate le cose fra alcuni motori del passato e quelli più recenti
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
17 ottobre 2017

Una volta si diceva che meno pezzi ci sono, meno se ne possono rompere.
L’eventualità che si verificasse qualche inconveniente meccanico all’epoca non era infatti tanto remota, e questo non solo nelle moto da corsa, ma anche nella produzione di serie. Poi le cose sono cambiate e da molto tempo a questa parte i cedimenti di qualche componente del motore o della trasmissione sono diventati pressoché sconosciuti. E, siccome in campo meccanico alla fine il buon senso ha la meglio, si sono affermate le soluzioni tecniche più razionali e assieme ad esse è avvenuta una progressiva semplificazione degli schemi costruttivi, con riduzione del numero dei pezzi. Così, mentre tutt’attorno al motore la complessità negli ultimi anni sembra essere aumentata considerevolmente, con una miriade di sensori, svariati attuatori e altri particolari di elevata sofisticazione, al suo interno sembra essere avvenuto il contrario e gli schemi impiegati nelle realizzazioni più moderne sono di una linearità straordinaria.

La complessità costruttiva, per quanto riguarda i motori, è più che altro “intrinseca”. Per spiegare il concetto, una valvola di scarico è estremamente semplice all’apparenza, ma provatevi a realizzarne una… Anche se avete un ottimo tornio, una eccellente rettificatrice e via dicendo, non ci riuscirete. Si tratta infatti del prodotto di una tecnologia ultraspecializzata a livello di progettazione, materiali, trattamenti e riporti superficiali. Lo stesso vale per i segmenti, le bronzine e via dicendo…

Dunque, i componenti sono pochi, rispetto a quanti ne venivano impiegati in passato in modelli di analoga architettura e di eguale frazionamento, ma in genere sono assai più raffinati e notevolmente più impegnativi da realizzare. Questo non vuol dire che un pistone degli anni Sessanta paragonato a uno moderno sembri tagliato con l’accetta, però… Il fatto è che gli stessi organi meccanici oggi sono in grado di offrire prestazioni superiori in termini di durata e di affidabilità e sopportano senza problemi sollecitazioni superiori, spesso con un peso nettamente minore.

La tendenza alla riduzione del numero dei componenti è generalizzata, e le rare eccezioni sono costituite da casi molto particolari, come ad esempio quello dei bicilindrici BMW. Con il passare del tempo, per soddisfare esigenze sempre maggiori in fatto di prestazioni e di confort, i motori boxer della casa bavarese sono diventati notevolmente più complessi (e il numero dei loro componenti è considerevolmente aumentato), rispetto a quegli autentici capolavori di razionalità e di semplicità che erano i modelli a due valvole con distribuzione ad aste e bilancieri. La potenza specifica è però passata da circa 70 CV/litro a oltre 100.

Un minor numero di pezzi si traduce anche in un notevole vantaggio economico. I costi di produzione diminuiscono non solo perché di componenti ce ne sono meno, ma anche perché è inferiore il numero delle lavorazioni (per realizzare gli alloggiamenti dei pezzi stessi), diminuiscono i tempi di assemblaggio e alla fine ci sono anche meno codici da gestire in magazzino.

 

Questa trasparenza di un motore Honda CB 900 F consente di osservare tra l’altro la trasmissione primaria di tipo “misto” e le due catene di distribuzione, con relativi tenditori e pattini di guida
Questa trasparenza di un motore Honda CB 900 F consente di osservare tra l’altro la trasmissione primaria di tipo “misto” e le due catene di distribuzione, con relativi tenditori e pattini di guida

Un esempio molto significativo, per quanto riguarda la riduzione del numero degli organi meccanici, si ritrova nelle trasmissioni primarie dei motori a quattro cilindri. Per diverso tempo qui ha dominato la soluzione “mista”. Dall’albero a gomiti una catena Morse portava il moto a un albero ausiliario che a sua volta lo trasmetteva alla campana della frizione per mezzo di una coppia di ingranaggi. Occorrevano due cuscinetti per supportare tale albero ausiliario ed era necessario lavorare i loro alloggiamenti e procedere poi alla loro installazione. Oggi la soluzione standardizzata prevede un ingranaggio realizzato di pezzo con l’albero a gomiti (in uno dei volantini, dotato di apposita dentatura) direttamente in presa con la corona solidale con la campana della frizione. Il risultato: maggiore compattezza, minor costo, miglior rendimento.

 

Di catene nei moderni quadricilindrici di alte prestazioni ce ne è una sola, che provvede a comandare i due alberi a camme in testa. Non tanto tempo fa c’è stato chi ne ha impiegate due, ossia una principale, che azionava l’albero a camme di scarico, e una orizzontale secondaria, che collegava i due alberi a camme.


 

In passato sono stati realizzati sistemi di tensionamento delle catene di distribuzione di notevole complessità. Questo appartiene a una Honda CB 450. Funzionava a dovere, ma era costoso (si noti il numero di componenti)
In passato sono stati realizzati sistemi di tensionamento delle catene di distribuzione di notevole complessità. Questo appartiene a una Honda CB 450. Funzionava a dovere, ma era costoso (si noti il numero di componenti)

In quanto ai tenditori, da tempo la razionalità domina. Invariabilmente del tipo a pattino, sono automatici e funzionano impeccabilmente. In passato però sono stati realizzati sistemi di tensionamento anche piuttosto complicati. Quello della bicilindrica bialbero Honda CB 450 ad esempio impiegava un rullo tenditore (dentato) e ben sei rulli di guida. Non era automatico ma, nonostante la complessità, il suo compito lo svolgeva bene.

Tornando alle catene, nelle quadricilindriche Honda CB 750 K e CB 900 F (come pure nella famosa CBX a sei cilindri) se ne impiegavano tre: una per la trasmissione primaria “mista” e due per la distribuzione bialbero. All’interno del motore a sei cilindri della Kawasaki Z 1300 di catene ne venivano impiegate addirittura quattro.

All’inizio degli anni Settanta la Ducati è entrata nel settore delle maximoto con la bicilindrica GT 750, dalla quale sono derivate le successive versioni Sport e Supersport. La distribuzione era monoalbero e per azionarla si impiegavano due alberelli paralleli ai cilindri (ognuno di essi era diviso in due parti, collegate da un giunto a baionetta), un alberello che prendeva il moto dall’albero a gomito e ben nove ingranaggi conici! Nella successiva versione a carter “quadri” questi ultimi sono stati ridotti a otto.

Una bella differenza con i bicilindrici della serie Pantah, entrati in produzione nel 1979 e dotati anch’essi di un albero a camme in ogni testa, nei quali per comandare la distribuzione erano sufficienti una coppia di ingranaggi e due cinghie dentate, su ciascuna delle quali agivano due semplici rulli.

 

 

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