Superbike 2020. Dov'è finita la velocità Ducati?

Superbike 2020. Dov'è finita la velocità Ducati?
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
La Panigale V4R sembra aver perso la superiorità in rettilineo. Analizziamo la situazione
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
2 marzo 2020

E pensare che solo un anno fa la Ducati Panigale V4R Superbike sembrava un mostro imbattibile, forte di un motore capace di girare a regimi stratosferici tanto da spingere i suoi avversari a lamentare violazioni dello spirito della Superbike se non proprio del regolamento. Nelle mani di Alvaro Bautista, la Ducati Superbike aveva fatto il vuoto, dominando tutte e tre le gare a Phillip Island - le prime di una serie di undici vittorie che ci avevano (frettolosamente) convinto a ritenere il Mondiale già deciso.

Avanti veloce di un anno e la V4R, che pure con Scott Redding ha conquistato tre bei podi a Phillip Island, sembra irriconoscibile. Nel 2019 la facilità con cui Bautista sfilava gli avversari in rettilineo era quasi imbarazzante. Quest'anno, Redding riusciva si e no a uscire dalla scia delle Yamaha e Kawasaki ufficiali. Com'è possibile che in un solo anno, senza variazioni regolamentari né cambi di modello, la situazione cambi in maniera così radicale? Cerchiamo di capirci qualcosa.

Iniziamo dai giri persi. Ducati, rispetto all'inizio del 2019, deve correre con 250 giri in meno come previsto dal regolamento balance of performances del Mondiale SBK. Una penalizzazione sicuramente sensibile, ma che l'anno scorso non era stata certamente sufficiente a limitare lo strapotere della V4R nelle mani di Bautista, visto ad esempio il potenziale motoristico messo in mostra nella gara di Portimao.

La cosa ha sicuramente molto più a che vedere con la differenza di dimensioni fra i due piloti. Fra Bautista e Redding ballano, dati ufficiali alla mano, 20 kg e 16 cm a favore dello spagnolo: Scott è un ragazzone alto e muscoloso (1,85 per 78 kg) mentre Alvaro è più in linea con la media dei piloti. Dimensioni che da sempre hanno penalizzato Redding, che in Moto2 arrivava a pagare gap importanti in velocità massima perché... dentro la carena proprio non ci stava, e con la ridotta potenza a disposizione la... zavorra si sentisse non poco.

Abbastanza logico che quella superiorità motoristica ne sia uscita appannata, anche se vale la pena di guardare meglio i dati, per capire come forse il discorso sia più complesso.

Iniziamo dai dati assoluti: le velocità massime quest'anno hanno compiuto un balzo in avanti notevole. Prendiamo ad esempio gara-2: nel 2019 il primato assoluto era stato fatto segnare dalla Ducati di Chaz Davies con 321,4 km/h. Quest'anno, la Kawasaki ZX-10RR di Alex Lowes ha fatto registrare 329,3 km/h. Una differenza sensibile, dovuta in parte al vento che soffiava a favore sul rettilineo box, ma anche al fatto che le prestazioni delle moto sono aumentate tutte in maniera evidente.

Naturalmente, si tratta di valori parzialmente falsati dal fatto di essere stati ottenuti in gara, quindi con l'influenza delle scie, ma se andiamo a fare qualche interpolazione possiamo ottenere indicazioni più significative. Iniziamo dal 2019, notando come nei primi dieci si contavano ben quattro Ducati Panigale V4R nei primi cinque posti, con la sola Yamaha di Cortese nel mezzo - che possiamo forse derubricare come anomalia causata dalle scie - poi le Kawasaki e due intruse: la CBR di Camier e l'R1 di Melandri (che a Phillip Island è sempre andato fortissimo grazie a una sublime interpretazione dell'ultimo curvone) a rompere una classifica a due colori, rosso e verde.

Nel 2020, dicevamo, c'è un forte aumento delle velocità massime - i primi dieci fanno meglio del primato di Davies l'anno scorso. Ma c'è soprattutto molta più... biodiversità, perché nelle prime posizioni troviamo due Ducati, tre Kawasaki, due Yamaha e la BMW di Sykes. Cosa significa? Che forse, certo, la Ducati va un po' più piano, ma c'è anche da dire che le altre probabilmente vanno un po' più forte. Insomma, la sensazione è che la Ducati abbia fatto un passo avanti, e gli avversari ne abbiano fatto... uno e mezzo.

Vediamo di fare due conti: la BMW S1000RR l'anno scorso a Phillip Island ha corso con un motore poco più che di serie, pagando un ritardo nello sviluppo colmato solo nel corso della stagione. Le Honda sono completamente nuove, e lo stesso Rea le aveva pronosticate molto veloci a Phillip Island. Yamaha, infine, ha migliorato in maniera sostanziale la YZF-R1M già sul modello di serie, alleggerendo i bilancieri a dito del comando distribuzione proprio alla ricerca di maggior potenza.

Inoltre, la velocità massima non la dice tutta. I valori dei primi sono tutti piuttosto vicini fra loro (vedi il discorso delle scie) e soprattutto non riflettono quella superiorità visibile lo scorso anno per la V4R di Bautista, che era solo la terza fra le Ducati più veloci - dietro a Davies e Laverty - ma appariva capace di... mettere la freccia e sorpassare il traffico più lento come un qualunque smanettone in autostrada.

Non è quindi tanto la velocità massima quanto l'accelerazione, e come è facile intuire qui si apre tutto un mondo. Soprattutto su una pista come Phillip Island, dove il rettilineo è preceduto da un curvone velocissimo che ha quindi un'influenza pesantissima sulla successiva accelerazione. La massa in più di Redding, una messa a punto dell'elettronica (con relativa interpretazione del pilota - non dimentichiamoci che l'anno scorso Scott ha corso con la V4R, ma senza traction control e con un pacchetto completamente diverso) tutta da affinare, magari anche una minor conoscenza delle Pirelli; metteteci anche un maggior numero di moto competitive ed ecco che la progressione irresistibile della Ducati ne esce un po' più appannata, a tutto vantaggio dell'equilibrio e dell'incertezza delle gare.

Insomma, la stagione è appena cominciata (e speriamo prosegua, viste le nubi pesantissime che si addensano sui calendari...) ma di una cosa possiamo essere certi. Sarà un grande mondiale. Esattamente come aveva previsto Nico qualche mese fa...