Silk Road: part III

Dopo una piccola pausa eccomi qui, ancora online con il proseguo del viaggio Silk Road 2018
17 dicembre 2018

Nella seconda puntata ci eravamo lasciati a Kerman, città alle porte dell'arido deserto del Dash E Lut, pronto sfidare le alte temperature del punto più caldo del mondo.
Arrivato a Kerman mi dirigo subito all’Akhvan Hotel, punto di riferimento nel Sud del paese per tutti i viaggiatori che vogliono esplorare il deserto, qui incontro Mohamed che mi aiuta a contattare una guida che mi accompagnerà nella mia sfida al Dash E Lut, purtroppo non potrò andare il giorno seguente ma dovrò aspettare una giornata.
Nei dintorni di kerman ci sono tante bellissime attrazioni turistiche, la più nota fino a qualche anno fa era la bellissima Bam, una delle antiche città meglio conservate al mondo prima di esser rasa al suolo da un devastante terremoto nel 2003, purtroppo oggi non rimangono che macerie anche se l’Unesco si è impegnato nella ricostruzione del sito, tant’è che centinaia di persone lavorano incessantemente alla sua ricostruzione. Ben più piccola ma meglio conservata è Rayen, anch’essa antica cittadella del deserto, che vale i chilometri di distanza fatti sotto un cocente sole.
Di rientro ci si può anche fermare al palazzo di Bagh-e Shahzadeh, una vera e propria oasi nel deserto, che accoglie con una serie di 20 fontane a cascate piene di acqua, un vero e proprio miracolo nel bel mezzo del deserto, dopo la visita rientro a Kerman dove mi riposero per l’indomani.
Finalmente ci siamo, è il momento tanto atteso: si va nel deserto, purtroppo però le temperature sono così alte che la guida mi ha dato appuntamento alle 18, prima sarebbe praticamente impossibile sopravvivere, quindi passo la mattinata a controllare la moto.

Nel primo pomeriggio mi dirigo verso Shahdad dove incontrerò la guida. Arrivato al punto di incontro sembra tutto chiuso come se non ci fosse nessuno, la verità è che fa troppo caldo e l’unico rumore che rompe il silenzio delle strade sono i motori dei condizionatori che pompano aria fresca a tutta forza nelle case. Provo a chiamare la guida che viene a prendermi e mi porta subito a casa sua, lui non è molto convinto, fa troppo caldo e cerca di farmi desistere dal mio intento ma io sono più che determinato.
Attendiamo le 18 e finalmente ci siamo, è il momento di accendere il motore e dirigersi verso la sabbia del Dash-e Lut, bagno con acqua ghiacciata il gilet refrigerante che mi è stato dato dal garage 27 di Milano, questo miracoloso accessorio da moto una volta bagnato trattiene l’acqua e per ore abbassa la temperatura corporea, consentendomi di poter affrontare i 58 gradi che ci sono all’esterno. L’ aria è veramente incandescente e sembra di avere un phon puntato in faccia, ma non mi arrendo e seguo l’auto della mia guida, un Nissan Pick-up con motore 4200 a benzina.
Sulla strada visitiamo un antico Caravanserraglio al cui interno c’è un antico acquedotto sotterraneo, dopo una breve pausa ripartiamo fino ad un punto dove prendiamo la deviazione per entrare nel cuore del deserto.
Il terreno sotto i pneumatici cambia rapidamente e l’asfalto lascia spazio alla sabbia, il paesaggio lunare del Dash – E Lut si erge dinanzi ai miei occhi in tutta la sua maestosità ed io non posso che rimanere affascinato dalle migliaia di pinnacoli di sabbia che costellano il deserto.
Mi sto divertendo come un bambino alla guida del mio vecchio Tenerè 750, su e giù dalle dune su e giù come se fossi su delle montagne russe. Ma eccolo davanti a me un enorme muro di sabbia alto una centinaia di metri e con una pendenza molto forte, io sto scendendo dalla duna che la precede e mi preparo, scalo in seconda marcia, sposto il peso tutto indietro e porto la moto al limitatore come se non ci fosse un domani, gas a martello, sotto gli occhi increduli delle mie guide che erano già scese dal loro pickup pronti ad aiutarmi, arrivo in vetta e vengo accolto da uno di loro che in un incerto inglese mi dice: "You are a good driver", cosa che mi inorgoglisce e in un gesto naturale inizio ad accarezzare il mio destriero.

Il tempo trascorre e anche se mi sto divertendo un casino e non vorrei mai smettere, il sole sta per tramontare, ci fermiamo saliamo su uno dei pinnacoli e nel totale silenzio del deserto ci godiamo lo spettacolo del calar del sole, che colora la sabbia sotto i miei piedi come oro luccicante.
Prima che le tenebre ci avvolgano cerchiamo un posto per accamparci la notte, fa ancora molto caldo quindi decidiamo di stendere un telo dove dormiremo sotto un cielo stellato, anche se non parliamo la stessa lingua la serata scorre piacevole e ci addormentiamo cullati dal vento.
La sveglia è al sorgere del sole, dobbiamo tassativamente uscire prima che il caldo arroventi le sabbie del deserto, facciamo una rapida colazione, chiudo una ad una le clip degli stivali, innesto la prima e le ruote che affondano nelle sabbie del Dash- E Lut mi portano fuori sull’asfalto, non prima di aver avuto un po’ di difficoltà nell’affrontare un lungo piattone di Fesh Fesh.
Ho vinto la mia sfida, ho conquistato il Dash- E Lut il punto più caldo del mondo e senza dubbio uno dei deserti più belli che io abbiamo mai visto nella mia vita, ancora oggi a scrivere queste righe mi brillano gli occhi al solo pensiero di ciò che ho avuto la fortuna di vivere.
È tempo di saluti le mie guide torneranno verso sud, mentre io attraverso l’intero deserto per la strada asfaltata che lo divide da sud a nord per più di 400 chilometri in solitaria, in questa strada poco trafficata a causa delle temperature e per la presenza di profughi provenienti dal vicino Afghanistan. Come se non bastasse il caldo, da nord arriva una tempesta di sabbia, non vedo più nulla e la sabbia alzata dal vento è tagliente.
In questo scenario apocalittico arrivo a Nehabandan città anch’essa avvolta dalla tempesta, faccio rifornimento e una rapida colazione prima di dirigermi verso nord passando per Bjriand, da qui rientro verso l’interno del paese e torno a salire sulle montagne circostanti prima di scendere ancora verso il deserto del Dash El kavir il primo deserto dell'Iran per estensione. Dopo una lunghissima giornata in sella arrivo alla città di Tabas dove mi riposerò un giorno, sto ancora aspettando il famoso visto del Turkmenistan del quale vi parlavo nella prima puntata e ormai le speranze iniziano ad affievolirsi, inizio a pensare che dovrò tornare indietro in Azerbaijan per prendere il traghetto sul Mar Caspio che parte della capitale Baku.
Ho una giornata a disposizione e Tabas è famosa per il suo Canyon con fonti termali, dove mi rilasso per l’intera giornata. Come avevo detto nelle precedenti puntate gli Iraniani sono un popolo gentile ed ospitale che amano fare picnic e mi invitano a bere con le loro famiglie il Chai il tè locale. Incontro Iman con la sua famiglia e dopo il terzo Chai mi invita a passare la serata nella pizzeria del fratello.
La destinazione della giornata è Mashad seconda città dell’Iran che dista però più di 700 chilometri quindi la sveglia è presto contando anche il caldo, purtroppo però dopo appena 200 chilometri foro il pneumatico posteriore. Fortunatamente mi trovo all’ingresso di un piccolo villaggio dove trovo un gommista che mi smonta il tutto, subito noto un consumo della camera d’aria e del pneumatico anomalo la carcassa è consumata solo su un lato, controllo i raggi e il mozzo a causa delle forti sollecitazioni del deserto del Dash – E Lut si è completamente smollato ed io a parte una chiave da 8 non ho molto quindi provo a sistemare il tutto e riparto.
Sin da subito la moto ha problemi, la carcassa del pneumatico ha subito danni importanti e la parte posteriore ondeggia vistosamente, faccio appena una trentina di chilometri e foro ancora, purtroppo avevo con me solo una camera e ora sono nel bel mezzo del nulla. Come sempre in Iran tutte le auto si fermano e mi danno dell’acqua da bere, ma non possono aiutarmi e dopo un'ora decido di fare i 25 chilometri che mi separano dalla città andando sulla carcassa, cosa non facile con moto carica di bagagli.
L’andatura è bassa e proprio quando inizio ad esser stanco succede l’incredibile, mi sorpassa un vecchio Nissan Patrol, sul lunotto posteriore dei caschi da cross e l’auto all’improvviso con un improbabile manovra torna indietro, scendono 3 ragazzi festanti che vogliono aiutarmi e in un attimo una dietro l’altra arrivano una, due, tre e quattro auto con carrelli e moto da cross, mi spiegano che il giorno dopo ci sarà una gara di motocross, in un attimo tra le urla, selfie e tanta musica la mia moto è caricata su uno dei carrelli e ci dirigiamo verso la civiltà, qui trovo un gommista che mi sostituisce il pneumatico con uno usato e dopo aver ringraziato i miei nuovi amici riparto, ma ancora una volta poco dopo sono a piedi e ritorno nell’officina un po’ sconfortato.

Cerchiamo uno pneumatico nuovo che troviamo dopo un’ora, un Iranian Tyres purtroppo in Iran a causa delle sanzioni Usa non si può reperire nulla che non sia Cinese o nazionale.
Dalla folla di curiosi che ormai circonda l’officina si fa avanti un ragazzo che parla inglese, l’unico incontrato fino ad ora e si offre di aiutarmi a farmi capire, a fine lavorazione mi invita a mangiare a casa sua e a dormire nel suo Bed and Brekfast tutto senza chiedere soldi, ancora una volta resto sbalordito dalla gentilezza di questo popolo e passo una bellissima serata in compagnia della famiglia del mio nuovo amico.
Al mattino prima di partire vado ad assistere alla gara di motocross dei ragazzi che mi hanno aiutato e al mio arrivo in pista c’è il delirio, mi accolgono con un'ovazione e mi offrono addirittura una moto per gareggiare, la tentazione è forte per me che da anni pratico enduro e un po’ di cross saltuariamente ma non è il caso di rischiare, anche se mentre faccio qualche foto sento lo speaker urlare qualcosa con la parola Italian e dagli applausi del pubblico capisco che si parla di me.
Mio malgrado devo salutare tutti i ragazzi e riparto in direzione Mashad che ormai sembra esser diventata una chimera. Sulla strada quando ormai credevo che fosse risolto buco ancora, l’Iranian tyres che ho montato ha una carcassa morbidissima e solo la fortuna mi aiuta a controllare la moto in una sbandata lunga più di 50 metri, dato che procedevo a più di 100 km/h in autostrada.
Mi siedo a bordo strada, lo spavento è stato forte ed ecco subito la prima auto fermarsi con un padre e la sua piccola bimba che con un sorriso da angelo mi porge una bottiglia di acqua. Senza chiedere nulla e senza dire una parola vengo aiutato a sostituire la camera e a ripartire.

Sembra una maledizione e poco dopo sono ancora a piedi, ormai il cerchio non tiene proprio più e i raggi continuano a bucare le camere ed io non ne ho più e soprattutto non ho la forza per cambiarle.
Ed ecco che si ferma la solita auto ad aiutarmi, un uomo con la moglie e le due sorelle mi chiede se ho bisogno di aiuto finalmente qualcuno che parla inglese, gli spiego e insieme conveniamo che è inutile continuare a cambiare le camere ho bisogno di un’officina di moto che mi sistemi il problema e lui nonostante fosse di rientro da una giornata in montagna con la famiglia mi aiuta a fermare un pick-up e a caricare la moto per dirigermi verso Mashad, dove vive con la famiglia quindi mi fa salire in macchina con loro e ci dirigiamo verso la città.
Durante il tragitto inizia una serie di telefonate ed allerta un'officina che ci aspetterà. Arriviamo molto tardi quindi lasciamo la moto che verrà lavorata all’indomani, il mio nuovo amico dopo aver pagato di tasca sua il pick-up mi invita a dormire da lui mentre la moglie mi prepara una buonissima cena. All’improvviso una fantastica notizia, l’agenzia a cui mi ero affidato per i visti mi manda un’email dicendomi che è arrivato finalmente il Visto di transito del Turkmenistan, ormai mi ero rassegnato all’idea di tornare indietro e invece potrò proseguire, almeno una buona notizia.
Al mattino presto Amir che intanto ha anche preso un giorno di ferie, mi accompagna all’officina e segue tutti i lavori fino a che la moto non è pronta ed insiste per pagare lui. Questo non posso proprio accettarlo e mentre si distrae gli nascondo un centinaio di dollari in macchina, prima di riprendere finalmente la strada in direzione del confine con il Turkmenistan, il mio visto è per la data odierna e le regole di entrata al paese sono molto restrittive essendo il secondo paese più chiuso al mondo dopo la Corea del Nord.
Il visto è in reltà un permesso di transito valido per 5 giorni con data di entrata e di uscita solo nelle date da loro indicate.
Ormai si sta facendo tardi ed io che sono partito nel pomeriggio a causa dei problemi alla moto corro verso il confine dove arrivo alle 15:45, ma incredibilmente gli uffici chiudono alle 16, riesco a convincere la polizia Iraniana che velocemente mi fa le pratiche di uscita e corro verso l’altra dogana che purtroppo è chiusa. Torno indietro e sorpresa non mi vogliono far uscire ovviamente ora sono chiusi ed io non ho più il timbro sul passaporto, mi toccherà passare una notte nella terra di nessuno in una vecchia casa abbandonata con il terrore per il visto Turkmeno.
In questo limbo da girone Dantesco finisce questa terza parte del racconto lasciandovi con la souspance di sapere come sarà andata a finire questa storia...

Salvatore Di Benedetto

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